Beyond panic? Re-envisioning climate migration – Giornata di studi #ClimateOfChange
Giovedì 18 novembre si è tenuto presso la Cappella Farnese di Palazzo D’Accursio a Bologna il convegno Beyond panic? Re-envisioning climate migration nell’ambito del Progetto europeo “End Climate Change – Start Climate of Change”, giornata di studi organizzata dal gruppo di ricerca dell’Università di Bologna e introdotta da Raffaella Campaner (pro-rettrice Università di Bologna), Dina Taddia (CEO WeWorld), Pierluigi Musarò (professore Università di Bologna e coordinatore della ricerca del Progetto).
Sono state molteplici le suggestioni emerse grazie sia al coinvolgimento di esperti sui temi della giustizia ambientale e della giustizia climatica sia alla condivisione dei primi risultati delle ricerche e delle attività realizzate all’interno del Progetto.
A introdurre la complessità delle questioni sul tavolo è stato Grammenos Mastrojeni (Unione per il Mediterraneo) che nel suo intervento ha analizzato il concetto di equilibrio come principio e obiettivo a cui le nostre azioni devono tendere per scongiurare un aumento sistemico del caos. Il degrado ambientale si configura come la miccia di una catena di eventi che arriva a toccare e destabilizzare ambiti solo in apparenza distinti tra loro. Ambiente, diritti, pace e sviluppo sono i nodi di una rete di delicate relazioni: alterare uno di essi significa causare ripercussioni anche sugli altri. Non è più possibile considerare il concetto di equilibrio a livello locale, ma si tratta di un termine geograficamente globale. Sono state proprio particolari condizioni di equilibrio che hanno permesso la più grande rivoluzione della storia umana, non quella industriale, ma quella agricola in Europa migliaia di anni fa grazie a un clima particolarmente favorevole: condizioni che oramai non esistono più. Il degrado ambientale conduce a una situazione di collasso e conflittualità sociale che rende a loro vola impossibile proteggere l’ambiente. Le migrazioni dovute agli aspetti climatici si rivelano essere solo una faccia della medaglia: chi non ha le risorse per migrare diventa parte dell’ingranaggio dell’illegalità. Un aspetto questo ripreso anche nell’intervento di Caroline Zickgraf (HUGO Observatory) in cui viene messo in evidenza come chi resta nei paesi in cui impattano maggiormente i cambiamenti climatici lo fa sia per mancanza di risorse sia per scelta, ma in entrambi i casi sono questi i soggetti più vulnerabili e più invisibili ai policymakers.
Già all’interno dell’intervento di Mastrojeni si coglie uno dei temi cruciali della giornata, articolato nei contributi successivi da prospettive diverse: l’importanza sia di ripensare le narrazioni che accompagnano il discorso sui cambiamenti climatici e i fenomeni ad essi collegati sia di trovare modalità comunicative adeguate per raggiungere e sensibilizzare in particolare le fasce più giovani. Gli interventi di Rachele Ponzellini (WeWorld-GVC) e Massimiliamo Demata (Università di Bologna) sottolineano la difficoltà di elaborare in modo scientifico e approfondito contenuti che per i mezzi di comunicazione social più diffusi viaggiano sempre con maggiore velocità. La sfida della comunicazione del progetto è anche questa: riuscire a coniugare la qualità e il rigore della ricerca a un linguaggio efficace ai tempi delle nuove tecnologie. Le azioni del progetto #ClimateOfChange, come la redazione del Wellbeing Economy Report, tentano così di riscrivere letteralmente una certa modalità espressiva anche valutando l’utilizzo di una nuova terminologia, perché le parole sono fondamentali: da qui la scelta di utilizzare la parola “crisi” al posto di “emergenza” e la proposta di riferirsi agli spostamenti con l’espressione “mobilità umana”, un concetto capace di tenere al suo interno anche la possibilità dell’“immobilità” e di parlare di “Mobility Justice”. Nuove modalità comunicative sono state proposte ed elaborate dal team di ricerca dell’Università di Bologna che sta raccogliendo i “diari climatici” delle persone incontrate e intervistate nel lavoro sul campo, a partire dal viaggio di ricerca in Senegal.
Proprio il dualismo mobilità/immobilità trattato in ambito comunicativo, è al centro dell’intervento di Beatrice Ruggeri (Università di Bologna), che restituisce i risultati dell’analisi di un caso emblematico, ovvero quello delle Isole Fiji, fortemente colpite dai cambiamenti climatici che hanno reso necessario uno spostamento della popolazione dalle zone costiere a quelle più interne. In questo contesto è stato proprio il governo a provvedere a una “ricollocazione pianificata”, esempio di “migration managment” nel Global South. I nuovi insediamenti presentano una standardizzazione visiva e spaziale che porta con sé una serie di critiche e riflessioni, prima fra tutte la domanda se la riallocazione debba ridursi a meri progetti tecnici e infrastrutturali o debba investire anche altri ambiti della vita individuale e collettiva. A questo ricollocamento “dall’alto” si contrappone un’altra risposta alla vulnerabilità, questa volta “dal basso”: è il caso del Dawasamu District, un’area che era stata abbandonata in epoca pre-coloniale e che i discendenti in cerca non solo di protezione ma anche di relazione con le proprie radici hanno deciso di ri-abitare.
Strategie comunicative alternative sono illustrate da Matteo Meschiari (Università di Palermo), che condivide esempi di nuove modalità narrative. La prima viene definita “antropo-fiction” e ha l’obiettivo di veicolare contenuti antropologici attraverso strumenti della fiction. La seconda modalità è l“etno-storia” che affronta il tema delle migrazioni non nell’ottica del mondo contemporaneo, ma andando a indagare la ciclicità di certi fenomeni anche nel passato. Un ulteriore strumento è la “psicologia evoluzionistica della migrazione”, grazie alla quale è possibile osservare come i luoghi colonizzati si assomiglino molto, segnale che i popoli hanno storicamente cercato contesti geografici simili “a casa”, lasciando emergere quanto l’accoglienza significhi anche farsi carico di un trauma. Meschiari si sofferma anche sulla specificità delle narrazioni indigene che, a differenza di quelle occidentali, si radicano in una prospettiva cosmologica e propongono un sincretismo tra scienza e processo dell’immaginario, recuperando la narrazione tradizionale insieme a un nuovo modo di collocare fenomeni più recenti come il cambiamento climatico.
Al centro del contributo di Anna Casaglia (Università di Trento) c’è la decostruzione di un altro concetto, quello di sicurezza, basata sull’idea dei tradizionali confini nazionali, raccontati come forma di protezione. Fare leva sul tema della sicurezza significa individuare una minaccia che possa poi giustificare la reazione a uno stato di emergenza e lasciando così accrescere la sensazione di paura. Questo meccanismo appare oramai collaudato anche nei confronti della crisi climatica che da un lato viene raccontata come intrattabile e dall’altro pare trasformarsi in un nuovo pretesto per i paesi ricchi di rafforzare le misure contro quelli più poveri. Le narrazioni si concentrano infatti su fenomeni apocalittici, politicizzando ulteriormente i fenomeni migratori e giustificando spese per il blocco dei migranti alle frontiere addirittura maggiori di quelle che vengono messe in campo per strategie di mitigazione del clima.
La giornata di studi si conclude con la proiezione del documentario Golden Fish, African Fish di Thomas Grand che racconta la dura quotidianità dei lavoratori di Casamance, regione nel sud del Senegal e tra le ultime aree di pesca tradizionale, fortemente minacciata dalla grandi aziende di pesca industriale.
Consigli di lettura:
Carla Benedetti, La letteratura ci salverà dall’estinzione, Einaudi, 2021.
Amitav Ghosh, La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile, Neri Pozzi, 2017.
Film/documentari:
Deforestazione made in Italy: www.deforestazionemadeinitaly.it
Contadini del mare, di Vittorio De Sica 1955.
Golden Fish, African Fish, di Thomas Grand, 2018.
Risorse e strumenti:
World Resource Institute: https://www.wri.org/
Monitoring the Planet’s Pulse: https://resourcewatch.org/
ClimateOfChange: www.climateofchange.info